Autodistruzione

C’è un senso di sollievo nel disfattismo, nell’autodistruzione, si arriva a un momento dove siamo troppo presi dalle dinamiche che governano le nostre vite; troppo presi dai nostri progetti, dalle nostre aspettative e dal desiderio di perpetrare qualche sorta di cambiamento nel migliorare noi stessi.

Più andiamo avanti, più sprofondiamo nell’oceano, e l’acqua che sovrasta le nostre teste diventa sempre più grande e la pressione cresce, ci sentiamo più sottili, e anche se gli intenti iniziali erano buoni, ci troviamo quasi in trappola, così tendiamo ad allentare la corda.
Ci sentiamo in colpa a volte, e sperimentiamo la dicotomia tra il senso di relax, determinato dall’abbandono di certe dinamiche, e allo stesso tempo avvertiamo una tensione, quasi inconscia, che ci ricorda le promesse fatte a noi stessi, che ci ricorda perché abbiamo iniziato a slanciarci nella vita.
Quando questo dualismo arriva a un punto tale che ci sta lacerando dentro, operiamo inconsciamente meccanismi atti a sabotarci perché diventa più facile così.

La distruzione segue i principi della termodinamica, dove il sistema si adopera a succedere a energie minori, perché la creazione richiede sempre energia, mentre la distruzione la libera.
Così senza accorgercene demoliamo ciò che stavamo costruendo in funzione di qualcosa di nuovo che crei nuovi stimoli, che ci faccia propulsare verso qualcosa di nuovo, con la speranza di poterci realizzare nuovamente.
Finiamo così vittime di un nastro di Möbius tra creazione e distruzione, perché il sistema cerca di restare in equilibrio, ma non può farlo da solo.

Quando perdiamo la capacità di gestire le criticità, quando perdiamo l’oggettività, nel cercare velleitariamente di mantenere un controllo illusorio, su un sistema influenzato incessantemente da variabili esogene, il sistema genera solo radicali distruttivi, che annientano ogni cosa: la nostra capacità di reagire alla distruzione, i nostri progetti, la nostra voglia di tendere a un’ideale migliore… ogni cosa.
Quando prendiamo coscienza della lenta discesa verso la totale distruzione di ciò che siamo, forse infine non proviamo rabbia o delusione, angoscia o sgomento; proviamo pace, perché lasciamo andare tutta la tensione, il senso di responsabilità che ci ha confinati, in spazi troppo piccoli, che a noi non sono confacenti.

Il disfattismo a volte si rende necessario, per trovare noi stessi, per trovare le risposte ad alcune domande che rifuggiamo, ancora e ancora, la ricerca della verità non dovrebbe conoscere limiti, la ricerca di sé stessi, non dovrebbe richiedere permessi, dovrebbe essere libera e scriteriata, ma soprattutto non dovrebbe essere fine a se stessa.
La verità non serve a nulla, se poi non la si usa, per forzare il sistema all’equilibrio, e all'efficientamento.

Nulla è utile senza uno scopo, e l’autodistruzione trova un senso nel processo evolutivo personale, a volte per andare avanti bisogna scardinare tutte le porte chiuse che troviamo in noi stessi, si rende necessaria una presa di coscienza, si rende necessario affermare qualcosa, e quelle porte che abbiamo messo a difesa della nostra psiche, vanno abbattute, perché finché compartimentalizziamo le diverse sfumature di noi, per un qualche senso di protezione, perdiamo il quadro di insieme, e senza coscienza di ciò che siamo, del perché agiamo, del come reagiamo alle cose, navighiamo sempre nel buio, e un sistema così delicato quale la vita, non può essere gestito col dubbio.
Perché nel dubbio si insinuano, comportamenti distruttivi inefficaci, e inutili, che determinano solo radicali negativi.

Tutto nella vita, può essere visto relativamente secondo punti di vista differenti, e una stessa procedura, può avere due scopi diversi a seconda del contesto in cui la si opera, l’autodistruzione può essere sia positiva che negativa, dipende sempre dal motivo per cui si rende necessaria: a volte la si adopera per sopravvivere, a volte la si opera per morire.
Tutto può avere un senso se noi glielo attribuiamo, non dobbiamo lasciare che le nostre paure, false convinzioni, l'incertezza e tutto quello che sia, avviliscano la nostra capacità di dare un senso a ciò che per noi ha un peso, e forse anche a ciò che non lo ha; l'autodistruzione a volte è più utile e positiva di quanto possiamo pensare, basta non perdere la capacità di ricostruirci poco dopo.