Dialogo Midfor-Crawford pt.2

Il Sig. Crawford, sfilando e accendendo una sigaretta dal pacchetto, guardò il Dottor. Midford e con fare superiore iniziò una delle sue digressioni, vista la situazione appena vissuta: «Le storie che si raccontando sono sempre le solite: cambiano i nomi e i luoghi, ma le dinamiche e le motivazioni sono sempre quelle, per questo non è poi difficile prevedere il futuro di certe persone.

A volte è radicata in loro quella particella quasi sadica di autodistruzione, che nel perpetrare la propria vita, come una bomba ad orologeria scatta e fa saltare in aria tutto.

È radicato quel senso di arroganza e onnipotenza, che una volta buggatosi si rifugia in una falsa autoconvinzione, di non interesse, dell’oggetto antecedente allo stesso bug.

Le persone sono stupide, deboli, destinate a ripetere i propri sbagli, soggiogate da un’altra particella subconscia di speranza, che le guida su strade già percorse e che le riporta agli stessi vicoli ciechi.

Le persone non studiano, non la materia o la vita, non studiando loro stesse, c’è molto di più che guardarsi; è il vedersi davvero, è lo scavarsi dentro.

Le persone sono paurose, più di loro stesse che di altro, timorose di scoprirsi erte su fondamenta di fango, su principi aleatori che su solide basi.

Le persone sono tante cose, ma prima tra tutte: una delusione e poi sono permalose, incapaci di ascoltare quello che in realtà fingono di non sapere, per paura di affrontare ciò che dovrebbero migliorare al fine di essere persone migliori, solo per una pigrizia intestina, che le mette sotto il proprio stesso annichilamento.

Questo devi affrontare nella vita di tutti i giorni, e poi ti chiedi perché a fine giornata l’unica cosa che faccio è bere un bicchiere di scotch e guardare il cielo, con le poche stelle visibili, sperando che una meteora distrugga questa rete umana di ignoranza e impudenza.

No, Dottore, non è sbagliato pensare male delle persone, orami è sbagliato essere delle persone, bisognerebbe essere qualcosa di più, perché quello che siamo ora, lasciatemelo dire, è una vera merda.»

Il Dottor Midford aveva smesso di ascoltare dopo poco le parole del Sig. Crawford, era ancora immerso nella vicenda della sua collega, la Dottoressa Blackwell, che finalmente era riapparsa e aveva scongiurato il possibile processo per omicidio premeditato, di una persona che manco conosceva, almeno fino a quella orrenda notte.

Il Dottor Midford, guardò il signor Crawford, leggendone sul volto, il disagio e il disinteresse, e dopo un tiro di sigaretta disse : « Dottore, la capisco è ancora scosso, per quale che sia la sua mente brillante, tutto deve rientrare meticolosamente nelle sue tabelline di marcia, e diciamo che la vicenda della Dottoressa Blackwell ha messo in subbuglio ben oltre, il progetto a cui tutti noi stavamo lavorando, e lei come “attore principale” di quello che è stato un primo atto così burrascoso, ne è uscito ancor più segnato, dei veri attori principali di questa storia, non la biasimo, in realtà non mi sta molto simpatico, quindi non mi curo di lei, sono qui solo per esprimere il disappunto su quello che volete fare, nonostante ciò che ho appena esplicato; detto questo Dottore le auguro una buona notte, domani come sempre ci sarà un giorno che ribalterà gli equilibri di quella che si pensa essere una vita complessa come la sua, ma che nulla di più ha da spartire rispetto alle altre.»

Il Dottor. Midford, ancora una volta aveva smesso di ascoltare le parole de Sig. Crawford, non solo perché lo riteneva un uomo non istruito, ma perché aveva un fare di parlare, altezzoso, che non tollerava da parte di un collaboratore esterno, e comunque era ancora assorbito dai fatti, salutò quindi il Sig. Crawford, e rimase sul terrazzo del complesso a guardare le luci della struttura, ripensava agli ultimi giorni, alla pazzia della sua responsabile, all’interrogatorio degli agenti di polizia, alla disputa con il proprio avvocato e a molte altre cose, certamente i pensieri del Dottor. Midford non si prestavano più al progetto etico-morale sul quale stava lavorando, non cogliendo l’ironia che un “atto” etico-morale era appena accaduto in quei giorni, e che le emozioni, la sua crescente angoscia e l’ansia che lo tenevano sveglio nel cuore della notte, avevano ottenebrato l’oggetto delle sue ricerche.

Alla fine, si congedò e tornò a casa, obnubilato dai suoi pensieri, era come sconnesso dalla realtà e come un automa, compiva azioni e senza rendersene conto, aveva la testa sul cuscino e si ritrovava a fissare il soffitto di casa.