Riflessioni relazionali

È triste vedere l’evoluzione di certe dinamiche, di certi rapporti, quando all’inizio avevano il potenziale per essere qualsiasi cosa; è sconfortante vedere come il silenzio si insinua come terzo incomodo tra due persone, e rimane a creare disagi, vedere come influenza negativamente il confronto costruttivo, e la risultante positiva viene sostituita dall’indifferenza, dall’inespressivitá.
Si finisce per nutrire sentimenti diversi da quelli che si provavano prima, si finisce per gettare la spugna, e invece di fare, reciprocamente, qualche passo l’uno verso l’altra, si iniziano a fare dei passi indietro; si iniziano a fare casini, lasciando correre certi pensieri nella nostra mente, si finisce per dire “ma sì tanto non vale la pena perdere tempo, non ha senso sprecare parole, è un qualcosa di ormai finito che senso ha ?”.
La verità, almeno per me, è che ogni rapporto, è “salvabile” basta ricordare a se stessi per cosa si vuole lottare, che cosa si vuole costruire, in qualsiasi accezione; a volte siamo vigliacchi o oppressi dall’orgoglio, da l’amor proprio verso noi stessi, e questo ci porta a non voler più vedere cosa ci piaceva in qualcuno, ci porta a considerare di più i lati negativi, a nutrire sentimenti più deboli, più apatici, per una serie di motivi: la paura della sofferenza, l’essere “pieni di sé stessi”, il millantare di principi che ci dovrebbero ergere sopra la comune banalità, ma che poi nella concretezza ci rendono più soli, ci impediscono di evolvere a volte, perché possono limitare il nostro agire, perché ci precludono di esplorare oltre; perché i nostri principi ci tengono al caldo, le nostre convinzioni ci danno serenità, e uscire dalla nostra zona di confort è problematico, in generale, per alcune persone è quasi impossibile.
I rapporti umani sono sempre stati complicati, quelli sentimentali ancora di più, specie quando due personalità forti palesano di non volersi ascoltare reciprocamente, specie se ci sembra di continuare a ripeterci, di non essere più compresi, e allora si finisce a pensare, falsamente, che in realtà non si è mai stati compresi, che l’altra persona non voglia veramente capirci; e si ritorna in uno “stato teta” dove preferiamo la compagnia di noi stessi, perché abbiamo realizzato che ormai quella persona è “andata” e che non vale più un secondo del nostro tempo; per quanto mi riguarda tutto questo è solo un’espressività del dolore, un agire atto unicamente a non voler più soffrire per qualcuno; ci illudiamo che tornando a noi, si smetta di stare male, si possa far finta di niente, ma la verità è che il tempo speso con una persona, le emozioni condivise, non si possono reclamare o restituire al mittente e tornare a una versione precedente di se; l’interazione ci ha influenzati, e ha plasmato qualcosa di noi, che ora magari con riluttanza, scegliamo di far finta di non vedere.
Io non mi sento troppo erudita, per esprimermi sapientemente sulla natura dei rapporti, su certe dinamiche, però sono convinta, che quando, si finisce nell’indifferenza reciproca, non significa disinteresse reciproco; ma che a volte si necessita di un proprio spazio per ritrovare un equilibrio, che a volte l’indifferenza sia un meccanismo di difesa, in risposta a una grave sofferenza, perché solo due cose si ignorano: quelle che non sono importanti, e quelle che vorresti non lo fossero; il fulcro del dilemma è capire in quale delle due categorie si è, e capire come uscirne, fare un passo avanti, anche con la consapevolezza di poter soffrire, con la consapevolezza di poter trovare un muro; ma alla fine avere la serenità di dire a se stessi almeno ci ho provato, almeno ho fatto tutto quello che potevo; perché quando viene partorito nel cuore un sentimento di rimpianto, diventa poi un adulto bisognoso che rimarrà a infastidirci per molto tempo, quindi per quello che penso a volte è meglio provare a comunicare, pur potendo soffrire, che non comunicare e avere un pungolo nel cuore e nella mente, che possa tartassarci.

Sono sempre stata in buona compagnia nella vita, ma alla fine mi sono sempre sentita “sola” e incompresa, a livello interiore, oltre ogni possibile ragione, e ora, per la prima volta sto provando un diverso tipo di solitudine, che fa molto più male, perché una volta scorta la perfezione, essere chiusa fuori dalla stanza, mi ha sconfortata terribilmente; quando torni a sentirti una persona “sola” fa male, ma quando qualcuno di extra ordinario, viene a non sussistere più, il senso di mancanza è totale, penetra nelle ossa, nella testa, e ti opprime il cuore, perché non hai fatto in tempo a realizzare, che era tutto ciò che volevi, che subito ti viene portato via.
Sto provando una terribile dicotomia tra il volerti bene e il risentimento più viscerale, perché so che persona sei, ma, anche se sembrerò ipocrita, mi sento ferita e tradita, dopo tutto quello che ci siamo detti, dopo che mi hai osannato che fossi riuscito a vedermi davvero, e io mi sono sentita vista veramente da te, per la profondità che ho dentro, alla fine, l’unica cosa che ha pesato, è stato l’unico errore che ho commesso, l’unica cosa che ho sbagliato, e lo so che non è un errore da poco, ma avendomi detto che potevi anche capire il perché, nonostante quanto ti abbia ferito, e di questa sofferenza che ti ho causato, sono veramente amareggiata, alla fine è come se avessi svalorizzato tutte le cose belle che ho fatto e detto per te, ogni cosa, e la velocità con cui l’hai fatto, mi ha fatto ancora più male.
Provo risentimento perché non penso le persone meritino solo una possibilità per far bene le cose, ma questo alla fine è un fattore personale, speravo solo di avere una seconda possibilità per fare meglio, e dimostrare ancora una volta che ero una persona vera, però così non sarà, e per questo sono sconfortata.
Accettare questa tua volontà mi sta venendo veramente difficile, perché non sono una persona che normalmente si arrende, perché nutro sempre la speranza quando c’è qualcosa di bello, quando si è stati bene, e dire ok è andata così, non fa parte di me, mi spiace se a volte sono pesante, ma ci tengo.