Era il celato sospiro del guerriero errante: adagiarsi piano, come una piuma, sui colli del mondo, vestuto di miseria e tonache bianche.
Era il tempo del silenzio, della rivolta covata silente nel cuor di un ferreo ghiaccio, spezzato di tempi passati.
Crogiolava qui, nella valle delle anime solitarie, un luminare che s’abbandonava di virtù sapienti, cosicché i folli potessero seguirlo, mirando lui come creature notturne mirano lumi danzare l’ignoto.
Sospiro profondo, questo passo, questo sprofondo lacustre, su cui lune si specchiavano inebriate e estasiate, accarezzando pelli nude e bianche che mai furono toccate.
Sentiva dentro il fuoco, l’ebrezza e il tempo muoversi; fragori nel profondo, dall’abisso risalire e scintillare; che pure il cielo mirava il suo operare, tramutava tutto a sua immagine, che anche il narciso ingialliva confrontando i loro riflessi in quel bacino.
Distante, e pure così appresso, s’apprestava a respirare sogni eterni di rara intensità e di rara magnificenza, che anche le labbra più scarlatte sbalordivano, non riuscendo a proferire alcuna parola.
Era un tempo senza tempo, un mondo senza contorno, e nessuno riusciva a non farne ritorno.
Era il desiderio più innocente e la voluttà più fruttuosa, che d’un peccato si trasformava in sussurro e pianto, così come d’un bisogno irrefrenabile di vita.
Caduco il passo inconsapevole: cadere in quel creato così mirato, così prelibato, che pure il divino non si pasceva più d’ambrosia, ma di fertilità che l’aria pregnava.
Era il sospiro del guerriero silente: mirare tutto e nulla, adagiarsi a terra e sopire in quell’ozio stremato di vizio e peccato, d’innocenza e compassione.
Amare senza nessuna condizione qualcosa di inumano, che aveva profanato in quel reame di sogni e caos.
Sospiri e fati, silenti e mai nati.
Uno scambio sottovoce di cui non si capirà mai il seguito avvenire.