Prologo della Signora Triste

Era rimasta lì, rintanata nel suo studio, lo sguardo era fisso su un’anticaglia comprata chissà quanto tempo fa, chissà dove, lo sguardo era passivo, non guardava veramente quel souvenir, ma rifletteva sul tempo.
Le causava ilarità, pensare alla frustrazione della sua vita, era bloccata in un limbo emotivo, nel quale ristagnava giorno dopo giorno, poteva fare tutto, ma non poteva liberarsi dalla sua gabbia dorata, appassiva lentamente, si sviliva, mentre fuori le stagioni compivano i loro cicli, e il tempo dipingeva i segni del cambiamento sul volto delle persone, non sul suo, pensava, ma così era.
Quel giorno era particolarmente stanca, non c’era una ragione precisa, incolpava un po’ le variabili esogene della sua vita, senza curarsi minimamente che l’unica vera colpa fosse la sua.
Aveva sempre voglia di fare qualcosa e al tempo stesso, se ne lamentava, come una bambina capricciosa, forse lo era, anzi sicuramente lo era, ma a volte le faceva comodo non pensarlo.
Pensava all’amore che aveva provato, ai sentimenti, dai quali aveva scelto di privarsi, per essere più forte, ma la cosa l’aveva svuotata: era diventata meno fragile, ma aveva perso la capacità di sorridere, anche per le piccole cose, per le spontaneità genuine.
Quando le capitava di soffermarcisi sopra, il pensiero l’atterriva, e le provocava un rospo in fondo alla gola, si chiedeva se il gioco valesse la candela, ma ogni volta che si poneva quell’annosa domanda, che regolarmente le balenava nella testa, si rispondeva di no, anche se forse non era vero, ma ammettere ciò, l’avrebbe distrutta, avrebbe dovuto riscrivere i principi della sua vita, dando fiducia al prossimo, dando un’occasione ai sentimenti, non poteva permetterselo.
Troppe volte, aveva ceduto all’amore, e troppe volte ne era uscita distrutta, era consapevole, traviava il proprio pensiero a favore delle sue convinzioni, ma ormai era diventata la sua coperta di Linus, per molto tempo si era riscaldata in quella convinzione, e cambiare ora, sarebbe stato troppo tardi; il tempo speso a cercare di supportare la propria tesi, sarebbe stato vanificato, e la sua vita avrebbe perso di valore; ma cosa poteva fare per colmare il vuoto che la consumava dentro ?
Era una risposta a cui aveva dedicato molto tempo, esplorando molte strade, ma non vi era ancora giunta a senno, e non l’avrebbe mai fatto.
La verità è che da li a 3 anni sarebbe stata colpita da una malattia neurodegenerativa, e ogni minima interrogazione e postulato sulla vita, sul senso del tempo e su tutto lo scibile, sarebbero stati solo un vago ricordo, se fosse stata ancora in grado di ricordare.